Imparare ad imparare

Non credo ce ne sia bisogno di presentare gli autori di questo articolo

 ma se qualcuno non lo sapesse Martin Black è uno dei più famosi horseman statunitensi, al pari di Parelli di cui è amico e collega nella diffusione dell’equitazione naturale

 

ed il dottor Peters è un Veterinario che ha speso la gran parte della sua vita professionale nella ricerca e nello studio del cervello del cavallo.

 

Quindi stiamo parlando di due autori di tutto rispetto con una grande esperienza alle spalle.

 

Nel loro articolo, di cui vi lascerò il link in descrizione, parlano di come sia palese che alcuni cavalli imparino meglio e più velocemente di altri

ed affrontano l’argomento di come noi possiamo migliorare la loro capacità di apprendimento

 

In realtà sembra che la capacità di apprendimento sia in gran parte dettata dalle esperienze passate e da come sono state affrontate. Il cavallo ha avuto modo di esplorare le varie soluzioni possibili oppure è stato microgestito e costretto ad una risposta specifica ?

 

I cavalli che hanno avuto modo di esplorare e commettere errori sembra che siano i più bravi. In poche parole hanno imparato ad imparare.

 

Il dottor Peters spiega che dalle sue ricerche è emerso che un cavallo che è stato esposto ad una miriade di stimoli esterni rappresentati dalle esperienze vissute durante la sua vita ha un numero consistentemente superiore di connessioni tra neuroni, quelli che vengono chiamati

 

“campi dendritici”

 

aumentandone di fatto la capacità decisionale e di apprendimento

 

Se consideriamo un cavallo che viene sempre tenuto in box ed ha poche se non nessuna possibilità di interagire con l’ambiente ne tanto meno con un branco sicuramente avrà un numero di connessioni neuronali più basse rispetto ad un mustang che è sempre vissuto all’aperto e in branco ed ha dovuto affrontare una miriade di situazioni che lo hanno portato ad allenare la sua capacità di improvvisare, decidere e usare le esperienze precedenti.

 

Gli autori spiegano che se dovessimo rappresentare i campi dendritici di un cavallo che ha vissuto in maniera isolata attraverso un albero esso assomiglierebbe probabilmente ad una pianta appena potata e con pochissimi rami, mentre le connessioni neuronali di un mustang sarebbero rappresenati da un albero con una folta chioma estremamente ramificata.

 

In sostanza anche se il mustang non avesse mai visto un uomo potrebbe comunque essere lo studente migliore.

 

Ed a questo punto apro una parentesi e vi riporto quando discusso anni fa con un istruttore Parelli durante un corso che ho frequentato in Colorado nel 2014.

 

L’istruttrice che si chiama Margit Derman aveva avuto modo di addestrare per un periodo di tempo alcuni soggetti di cavalli mustang e quello che aveva notato era che dopo il primo mese, in cui lei fondamentalmente si dedicava a fargli passare la paura dell’uomo e cominciare a fidarsi, tutto il resto del lavoro era in discesa ed in pochissimo tempo diventavano cavalli super affidabili alla stessa stregua se non meglio di altri soggetti che erano stati invece allevati dall’uomo.

 

Ok, adesso ne sappiamo il motivo.

 

Ma torniamo a noi ed al nostro articolo

 

Gli autori dicono che spesso noi pensiamo che dobbiamo essere presenti per insegnare qualcosa al nostro cavallo ma in realtà l’apprendimento spesso deriva dalla curiosità del cavallo.

 

In particolare fanno l’esempio del cavallo che deve attraversare, da solo, un torrente.

Probabilmente all’inizio tenderà a guardare male l’acqua che corre, magari proverà a bere tenendo però ben saldi i suoi piedi sulla riva. Potrebbe anche accadere che scivoli per un attimo immergendo i piedi nell’acqua e forse lui si ritirerà velocemente indietro per riportarsi sul terreno solido ed asciutto per ritrovare la sua sicurezza e rientrare nella sua zona di comfort ma ben presto la sua curiosità lo spingerà di nuovo a provare ad entrare nell’acqua.

 

Naturalmente ciò non potrebbe accadere se il cavallo non permettesse alla sua curiosità di spingerlo a superare i suo limiti.

 

In breve il cavallo deve essere curioso o leggermente stressato per lasciare la sua zona di comfort e spingersi oltre i suoi confini.

 

Ma quello che c’è di più interessante è che quando la curiosità viene soddisfatta o la sensazione di sicurezza viene ripristinata il cavallo torna in uno stato chiamato omeostasi che induce la produzione di una dose di dopamina.

 

La dopamina, come alcuni di voi già sanno, è una sostanza che induce uno stato di benessere e che spesso nei cavalli viene associata a comportamenti come il leccarsi le labbra e masticare.

 

Ma torniamo ancora al nostro torrente.

 

Black e Peters portano l’esempio del cavaliere che stressato dall’esitare del cavallo nell’attraversare il torrente potrebbero perdere la pazienza e cominciare a dare gambe o frustare l’animale ed anche se in qualche maniera riescono a passare il corso d’acqua, l’esperienza sarà sicuramente stata stressante per entrambi.

 

D’altra parte dobbiamo considerare anche un altro fattore relativo a questo esempio. Quello della conformazione del cavallo. Di come è fatto e di come vede il mondo attorno a lui.

Il cavallo è vero che possiede una vista di oltre 300 gradi tutta attorno ma ha una visione scarsa sulla verticale. Oltre al fatto che non possono vedere direttamente subito davanti a loro o dietro la coda.

 

Ciò significa che dovrà alzare ed abbassare la testa e a destra e sinistra per osservare bene l’ostacolo che deve affrontare, ancor più se l’argine del ruscello è impervio, sassoso o scosceso.

Inoltre il cavallo usa la propria testa per bilanciarsi ed avere un passo più sicuro perciò deve avere la possibilità di muoverla come meglio crede.

 

In breve permettendogli di esplorare mentre sfida i confini della sua zona di comfort e suggerendogli di provare ma offrendo frequenti pause per premiare i progressi il cavaliere creerà la fiducia

ma la vera ricompensa arriverà con la dopamina.

 

L’esplorazione senza costrizioni, insieme alla ricompensa rende il processo di apprendimento un esperienza positiva che spingerà il cavallo a voler ripetere anche in futuro.

 

Pensiamo a quante volte abbiamo sentito il detto che tutto ciò che c’è di buono nella vita è fuori dalla nostra zona di comfort .

 

E’ esattamente la stessa cosa per i cavalli.

 

Black conclude dicendo “Se non porti mai un cavallo fuori dalla sua zona di comfort, non cercherà mai conforto”

 

Insegnare al cavallo ad imparare a cercare sollievo quando è fuori dalla sua zona di comfort è importante anche per gestire le situazioni pericolose

 

Spingere in maniera sapiente il cavallo a vivere situazioni di panico offrendo loro la possibilità di trovare da soli conforto o un modo per tornare alla situazione di omeostasi li farà crescere e li renderà sempre più affidabili.

 

Lasciando al cavallo la possibilità di esplorare ed imparare aumenteranno le sue connessioni neuronali, troverà sempre più piacere nell’imparare ed acquisirà sempre più fiducia in se stesso per affrontare nuove sfide.

 

In sostanza imparerà ad imparare.

 

 

 

Come stai vedendo in questo momento.

 

Buona giornata ed alla prossima

 

 

Keep natural and stay tuned


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