L’uso del cibo nell’addestramento del cavallo

In questa  nuova puntata voglio affrontare con voi il problema dell’usare o meno il rinforzo positivo durante l’addestramento del cavallo.

Buon giorno e ben trovati, siamo ancora qui per una nuova puntata e questa volta voglio affrontare con voi il problema dell’usare o meno il rinforzo positivo durante l’addestramento del cavallo.

 

Prima di tutto direi brevemente di fare un riassunto di cosa sono il rinforzo positivo e il rinforzo negativo

Il termine positivo o negativo non ha niente a che vedere con buono o cattivo ma semplicemente stanno a indicare se in conseguenza all’azione che il cavallo compie noi aggiungiamo qualcosa oppure sottraiamo qualcosa. Da qui il modo di dire negativo o positivo .

Potrei stare qui a raccontarvi per un ora qual’è il mio parere oppure la mia esperienza personale ma preferisco far parlare gli altri ed in particolare le ricerche scientifiche che sono state fatte su un gran numero di animali come ratti, scimpanzé, cavalli ed esseri umani.

Da sempre l’uomo a cercato di comprendere come addestrare gli altri esseri viventi e non solo gli animali.

Non per nulla si chiama addestramento anche quello che viene praticato dai soldati, astronauti, piloti di aereo, paracadutisti, guardie del corpo e potrei continuare a lungo.

Le tecniche di addestramento sono state disegnate, strutturate e rifinite nel tempo a mano a mano che gli studi scientifici davano risalto ad una o ad un’altra scoperta scientifica.

L’addestramento in se, a prescindere di quale tipo di addestramento si parli, è sempre costituito da una catena di elementi più piccoli.

Le abitudini.

In un libro che si intitola La Dittatura delle Abitudini, l’autore Charles Duhigg premio Pulizer nel 2013, narra di come i ricercatori del MIT siano stati in grado di identificare le 3 parti di cui ogni abitudine è formata.

La prima parte viene chiamata innesco ed è costituita da uno o più segnali, che a volte possono anche essere odori, sapori, emozioni o comunque qualcosa che non necessariamente deve essere visivo. Pensate al caffè che scatena l’abitudine di fumare una sigaretta oppure al rumore di mangime nel secchio che fa accorrere o nitrire alcuni cavalli

La seconda parte viene chiamata routine e sarebbe ciò che costituisce l’azione o la sequenza di azioni dell’abitudine stessa. Come appunto prendere la sigaretta, accenderla e fumarla oppure il correre del cavallo che magari si trova dall’altra parte del paddock

La terza parte è la gratificazione data dal rilascio di endorfine che le azioni causano. Ovvero il sapore della sigaretta o il gesto ripetuto di portarsela alle labbra piuttosto che il sapore del cibo particolarmente ricco e saporito come appunto il mangime che diamo al cavallo e che in natura difficilmente potrebbe trovare.

E’ stato dimostrato scientificamente che la nicotina contenuta nelle sigarette crea dipendenza fino a che rimane nel sangue e ciò accade per non più di 100 ore, dopo le quali la dipendenza non si fa più sentire ma il fumatore continua a sentire la necessità di fumare in particolare in corrispondenza di particolari eventi o segnali scatenanti come potrebbe essere il caffe.

Questa tendenza ha dato modo ai ricercatori di approfondire la ricerca e di comprendere che, fatta eccezione per alcuni casi, il rilascio di endorfine causato dal compiere la sequenza di azioni era tale che esso stesso costituiva una gratificazione sufficiente per rendere viva l’abitudine.

Un esperimento assai curioso è stato condotto dalla ricercatrice Annita Reinhold presso l’università Humboldt di Berlino.

La ricercatrice ha insegnato hai ratti con tanta dedizione e pazienza a giocare a nascondino usando una sequenza di esercizi che sarebbe troppo lungo elencarli qui ma per chi è interessato gli lascio il link nella descrizione del podcast. https://www.ilpost.it/2019/09/17/ratti-nascondino/

L’idea di far giocare I ratti a nascondino era venuta in realtà al neuroscienziato Michael Brecht, ma la ricercatrice aveva pensato di rendersi partecipe del gioco in modo da poter avere un maggior controllo sull’esperimento. Quindi i ratti dovevano imparare a giocare a nascondino con la ricercatrice.

Dopo quasi un mese passato a rendere confidenti con la sua persona i 6 ratti selezionati, restando in loro compagnia, giocando a corrergli dietro, raccogliendoli dal pavimento e accarezzandoli Annita è passata ad insegnarli il gioco vero e proprio.

Tralasciando i particolari, per far comprendere ai ratti le regole del gioco, quando dovevano cercare Annita o quando invece non dovevano farsi trovare dalla ricercatrice, venivano ricompensati, non con del cibo ma facendogli il solletico sulla pancia.

Ebbene sì, sembra che il solletico sulla pancia sia particolarmente gradito dai ratti e che ci sia un rilascio di endorfine importante quando sottoposti a questa pratica.

Dopo che l’esperimento fu concluso ed i ratti avevano imparato a giocare a nascondino con la ricercatrice, Annita e il suo team si accorsero che alcuni ratti non sembravano più aspettare il solletico sulla pancia come ricompensa ad esempio quando venivano scovati ma invece correvano a nascondersi nuovamente come se avessero il desiderio di continuare a giocare.

Questo comportamento suggeriva che la ricompensa in realtà fosse il gioco stesso.

Se pur inizialmente Annita aveva dovuto associare qualcosa di aggiuntivo come il solletico ad una azione particolare, successivamente non sembrava essere più necessario.

Sempre nel libro di Charles Duhigg potete trovare anche un esperimento che ha dato i medesimi risultati condotto su alcuni scimpanzè a cui erano stati dati dei compiti e come ricompensa del succo di frutta.

Inizialmente erano costretti a stare legati ad una sedia perché altrimenti sarebbero andati via

ed alcuni dopo aver fatto il compito richiesto urlavano addirittura e si dimenavano se non gli veniva fornita la loro ricompensa in succo di frutta. In un momento successivo gli scienziati avevano lasciato gli scimpanzé liberi di andarsene per tutta la stanza ed avevano notato che alcuni di questi preferivano rimanere a fare i compiti richiesti invece di gironzolare liberi, e non erano neppure più interessati al cibo.

Come se anche in questo caso la gratificazione giungesse come risultato delle azioni che compievano e non per la ricompensa.

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0170783#abstract0

In un atro esperimento condotto su 60 cavalli, dalla ricercatrice Mathilde Valenchon dell’Università di Strasburgo e finanziata dall’Istituto Francese di Equitazione, gli animali venivano sottoposti ad una sessione di addestramento in cui dovevano sostanzialmente superare un ostacolo per recarsi in uno scomparto situato alla destra e alla sinistra dell’addestratore.

I cavalli erano stati suddivisi in due gruppi. Su uno era stato usato il rinforzo positivo e sull’altro il rinforzo negativo.

L’esito dell’esperimento non ha dimostrato nessun tipo di differenza nell’apprendimento tra l’uso del rinforzo positivo e negativo anche se ha evidenziato che se esisteva un fattore di disturbo esterno all’esperimento, come rumori improvvisi o l’abbaiare di un cane o un getto d’acqua o altre cose del genere il rinforzo negativo riusciva a comunicare meglio di quello positivo, col cavallo che portava a termine comunque l’azione richiesta. Il motivo, ipotizzano i ricercatori, è da ricercarsi nel fatto che il fattore di stress esterno fosse in qualche maniera mitigato dalla pressione causata dal rinforzo negativo che portava il cavallo a porre comunque il focus sul compito richiesto più che sul disturbo esterno.

Un altro risultato importante è stato quello relativo al comportamento dei cavalli più paurosi. I ricercatori hanno evidenziato come infatti i cavalli più paurosi ignorassero quasi completamente il rinforzo positivo durante la presenza di fattori di stress e distrazione esterni, a favore invece del rinforzo negativo attraverso il quale riuscivano comunque a portare a termine il compito richiesto.

Ma quindi cosa possiamo trarre come insegnamento da tutte queste ricerche. E guardate che ce ne sono veramente moltissime fatte negli ultimi anni.

Sicuramente che il rinforzo positivo non vale di meno del rinforzo negativo e che però va saputo usare perché in alcune circostanze, come quelle in cui il cavallo è stressato o impaurito, non è molto efficace.

Del resto nel cavallo il cibo è l’ultima delle sue preoccupazioni in quanto in natura ce n’è in abbondanza ovunque. L’erba tra poco cresce anche sull’asfalto.

L’altra cosa che possiamo dedurre è inoltre che l’uso del rinforzo positivo è una ricompensa che causa un rilascio certo di endorfine. Ed abbiamo appreso finora che l’endorfine giocano un ruolo importante nella costruzione delle abitudini che a sua volta sono i mattoni fondamentali dell’addestramento.

Ma come abbiamo visto, una volta che una abitudine è installata possiamo anche togliere l’elemento esterno che genera le endorfine perché, come nel caso degli scimpanzé, è la consapevolezza di essere riusciti ad eseguire l’azione a causare la generazione delle stesse.

Certo è che quando insieme al nostro cavallo dobbiamo svolgere un compito in una situazione dove ci può essere anche un fattore di stress esterno importante, come ad esempio durante una competizione, l’uso del rinforzo positivo, Come abbiamo visto, Non sempre ci dà la garanzia del risultato.

Io credo fermamente che il rinforzo positivo da solo non vada bene nella stragrande maggioranza dei casi. Ma se serve per creare delle buone abitudini sicuramente ne va fatto uso.

Personalmente, ormai da anni, da ancor prima di diventare Istruttore Parelli, uso il rinforzo combinato.

Nel rinforzo combinato il segnale di innesco della routine è costituito da un comune rinforzo negativo, al termine della routine oltre ad esserci un rilascio di pressione c’è anche un rinforzo positivo che può essere costituito da un biscotto o anche più semplicemente da una grattatina o una carezza ma data con il cuore ( e non una pacca mi raccomando).

In seguito ho potuto constatare però, che come hanno evidenziato le ricerche di cui abbiamo parlato prima, il cavallo esegue la richiesta più e più volte, anche se non viene somministrata più la ricompensa. Come appunto se provasse piacere a compiere l’esercizio. Inoltre a volte è lui stesso che propone gli esercizi che conosce quando rileva dei segnali di innesco anche involontari o dati dalle circostanze. Ad esempio insegno al mio cavallo a salire su una pedana e quando successivamente, in un altro momento, passo vicino alla pedana è lui questa volta che mi propone di salire, dirigendosi verso la pedana e guardandomi come per verificare che stia seguendo quello che sta per fare.

La potenza delle abitudini è veramente incredibile, insegnare un abitudine importante come girare il collo e la testa alla minima pressione sulla redine e quindi sulla capezza o sull’imboccatura oppure disimpegnare il posteriore al più leggero tocco della nostra gamba può salvarci la vita in determinate occasioni.

Io ritengo che l’uomo deve avvalersi della sua indiscussa intelligenza per raggiungere nuovi livelli di comunicazione con gli esseri viventi che lo circondano. La scienza ed il buon senso ci possono dare un grande aiuto in questo ma l’importante è non arrendersi mai e continuare a migliorare la nostra conoscenza.

I metodi di insegnamento che venivano adottati nelle scuole 60 anni fa non sono gli stessi di oggi e quelli usati adesso non saranno gli stessi tra 50 anni. Lo stesso dobbiamo fare con i nostri cavalli. Imparare cose nuove e non aver paura di provare ritengo che siano due punti fondamentali nella nostra crescita come horsemen.

Anche per oggi ho finito, spero di avervi dato un argomento su cui riflettere in questi giorni.

Se avete domande, dubbi o obiezioni inviatemi un commento, o se vi è piaciuto questo podcast fatemelo sapere mettendo un Mi Piace e condividendolo sui vostri profili.

Per concludere vi volglio lasciare con una frase che mi fu detta durante un corso, ospitato nel mio centro in Toscana, in cui facevo da assistente al signor Devid Lichman, anch’egli istruttore Parelli da ormai più di 25 anni e specializzato nell’addestramento dei cavalli all’uso in libertà

Devid mi disse: “molti dei modi che usiamo per comunicare con i cavalli sono stati spiegati scientificamente solo negli ultimi anni e molti altri, che adesso ci appaiono a volte inspiegabili, lo saranno sicuramente in futuro”

Buona giornata a tutti e a risentirci.

 

 

 

Keep natural and stay tuned


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