Il diritto allo spazio

IImmaginati di trovarti in un autobus affollato, in piedi, quando sei entrato il mezzo era già colmo di persone e non hai trovato posto a sedere. 

 

 

 

La
corsa è ancora lunga, e ad ogni fermata, continuano ad entrare altre
persone. Sono le 15 e 45 di sabato pomeriggio e l’aria calda di un
Luglio afoso si fa sentire nonostante il condizionatore. L’autobus
rallenta di nuovo, nuova fermata, nuove persone e dopo un po’
cominci a sentirti oppresso dalla vicinanza di tutte quegli individui
sconosciuti. Ormai lo spazio tra tu e loro si è ridotto a tal punto
che senti il loro respiro sulla tua pelle, e l’odore che percepisci
è un misto di sudore e deodoranti di vario genere.

Hai
mai vissuto una situazione del genere ? Sicuramente a qualcuno di voi
è capitato. Ed anche a me!

 

No !
Non sono diventato pazzo e non avete sbagliato podcast.

Buongiorno e ben trovati.

La scena appena descritta è abbastanza inquietante e a dir poco fastidiosa. Questo perché ognuno di noi ha una specie di zona vitale personale che non vogliamo che sia violata senza il nostro permesso.

Secondo il neuroscienziato Michael Graziano il cervello calcolerebbe, senza rendersene conto, in maniera inconscia, una sorta di cuscinetto intorno al corpo di dimensioni variabili a seconda dell’esperienza che stiamo vivendo. Maggiore con degli sconosciuti, minore con persone familiari ed ancora minore in alcuni contesti come quando siamo col nostro partner.

Gli scienziati hanno scoperto anche che la zona che determina e pilota questa sensazione è quella relativa al nostro cervello più antico. La zona dell’amigdala, quella deputata a paura e ansia.

Da ciò hanno compreso come questa capacità di tollerare o meno la vicinanza di altre persone abbia origini evolutive. Infatti gli esseri umani sono animali sociali ed hanno sempre vissuto in gruppi dove comprendere quali individui era opportuno tenere vicino e quali invece, tenersi alla larga, era una decisione importante per la loro sopravvivenza.

La stessa identica cosa vale per i cavalli. Essendo anch’essi animali sociali si comportano in base alle stesse dinamiche e decidono chi si può avvicinare e chi invece deve stare fuori dalla loro bolla vitale.

La bolla intorno ad un cavallo è di circa due metri ma ci sono soggetti in cui tale spazio è molto più ampio.

Se osserviamo un gruppo di cavalli in branco possiamo vedere che in base alle amicizie e alle loro posizioni sociali tendono a far avvicinare o meno gli altri e a consentirgli o meno di entrare in questa bolla.

Spesso si vedono poi dei tentativi di violazione, dove un cavallo prova ad avvicinarsi troppo ad un altro e, se quest’ultimo appartiene ad un rango più elevato, si nota come si instauri subito un combattimento. Spesso solo fatto di occhiate , espressioni, orecchi che spariscono tanto sono indietro. Ma a volte, se l’altro non demorde, si può arrivare anche a morsi e calci.

Il tentativo di scalare la piramide sociale incomincia sempre con il tentativo di entrare nello spazio del cavallo più in alto. Per mangiare al suo posto, per bere al suo posto oppure semplicemente per testare se si sposta e se ne va lasciando il posto migliore, più riparato oppure più soleggiato.

Tutto inizia con l’avvicinamento e l’osservazione della reazione dell’altro.

Se non vi siete mai soffermati a guardare un branco di cavalli fatelo perché possono essere una fonte ricca di nozioni per qualsiasi aspirante horseman

Uno dei problemi più comuni che mi trovo ad affrontare durante le prime lezioni di chi inizia a praticare e studiare l’equitazione naturale, è l’incapacità delle persone a tenere fuori dal loro spazio vitale il proprio cavallo.

Da quando mettono la capezza a quando provano a chiedere di fare qualche semplice esercizio posso assistere ad un combattimento continuo per tenere fuori il cavallo, che imperterrito ogni volta prova ancora e ancora a riconquistare quello che sembra essere il suo spazio e non quello dello studente.

Si potrebbe dire che spesso il cavallo sta letteralmente in collo allo studente. E questo non riesce a scrollarselo di dosso. Impedendogli di fare qualsiasi cosa voglia provare a fare.

A volte mi è capitato di passare una intera lezione ad insegnare ad uno studente come mandare indietro il cavallo che dopo pochi minuti era nuovamente a pochi centimetri dal suo corpo.

Si dice che i pensieri diventino azioni e le azioni comportamenti ed i comportamenti abitudini.

Perciò è necessario cambiare i nostri pensieri per poter cambiare le nostre abitudini.

Il cavallo è un abile lettore dei nostri più imperscrutabili segreti. Riesce a capire dal nostro linguaggio del corpo i cambiamenti più impercettibili che gli comunicano il nostro stato d’animo, la nostra volontà e le nostre emozioni. Paura, ansia felicità, euforia arrivano a lui con una chiarezza incredibile e con esse anche la nostra convinzione su ciò che stiamo facendo.

La nostra reale volontà nel raggiungere un certo obiettivo.

Vi dico questo perché ormai in più e più volte ho scoperto che il problema per cui lo studente non riesce a tenere fuori dal suo spazio vitale il proprio cavallo non è dovuto alla tecnica o all’obiettivo.

Lo studente sa che deve tenere fuori il cavallo e sta cominciando ad imparare la tecnica per farlo, la progressione nella richiesta l’uso delle fasi e degli strumenti.

Ma quello che non riesce ancora a fare è credere che ci riuscirà. Essere convinto che può farcela ed infine volerlo veramente.

Ciò che ho scoperto è che spesso lo studente non vuole veramente che il suo cavallo se ne vada. Quel cavallo che ama e per il quale desidera ogni bene e per cui farebbe qualsiasi cosa.

Non vuole perché ha paura di perderlo, ha paura di perdere la sua stima, che in cuor suo sa ancora di non avere, ma che comunque se pur poca è quanto gli basta per adesso.

Molte volte ho provato a mettermi nei panni dello studente per capire le dinamiche che portano a questo comportamento. In realtà è comprensibile che una persona che tiene al suo cavallo ami vedere che il suo cavallo vuole stare con lei.

Ma quello che è importante comprendere è che in quel momento il cavallo non ci sta considerando come noi vorremmo.

Il cavallo quando lo lasciamo entrare nel nostro spazio lo percepisce come se noi ci arrendessimo alla sua volontà. E’ come se il gregario di turno concedesse al suo superiore di entrare nel suo spazio e mangiare, bere, dormire o riprodursi al suo posto.

Per il cavallo è una cosa seria e pertanto, se noi vogliamo essere presi seriamente, dobbiamo dargli il giusto peso anche noi.

Per cui la prima cosa che dovete imparare è la differenza tra lasciare e permettere.

Ogni volta che lasciamo entrare il cavallo nel nostro spazio, che misura più o meno quanto la lunghezza del nostro braccio tutto intorno a noi, lo lasciamo pensare che sia lui a condurre il gioco, che noi siamo suoi gregari e che lui è il nostro cavallo alfa.

Ogni volta che invece difendiamo il nostro spazio, in maniera gentile ma ferma, lui ci vede come individui da rispettare e prendere seriamente.

Una volta che abbiamo guadagnato il suo rispetto vedremo che il cavallo non proverà più ad entrare ma rimarrà fermo fuori e ci chiederà se può entrare, silenziosamente, guardandoci negli occhi e drizzando entrambe le orecchie verso di noi.

Ecco quello è il segnale che ci dice che possiamo permettere al cavallo di entrare nel nostro spazio. Con un gesto lo inviteremo a venire verso di noi, senza indietreggiare e lo premieremo con una carezza.

Ricordatevi, nel mondo dei cavalli lasciare e permettere sono due concetti profondamente diversi e comprenderne il loro significato è fondamentale per guadagnare il loro rispetto e diventare dei leader stimati ed apprezzati.

Ancor più se lo amate veramente, dategli un miglior leader e non uno zerbino su cui pulirsi gli zoccoli.

Non lasciate che il cavallo entri nel vostro spazio ma permettetegli di entrare ad un vostro cenno !

Buona riflessione a tutti e a risentirci la prossima settimana

 

 

 

 

 

Keep natural and stay tuned


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